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Non appena la sparatoria era incominciata, l'ammiraglio Sandecker aveva lanciato un appello radio per l'invio immediato di medici e autoambulanze dagli ospedali della zona. La richiesta era stata accolta prontamente e mentre i primi feriti venivano portati giù l'uno dopo l'altro dalla collina, già si udivano da lontano le sirene dei veicoli che stavano arrivando a tutta velocità.
Heidi andava zoppicando dall'uno all'altro, prestando nell'attesa le prime cure e lottando con se stessa per ricacciare indietro le lacrime che le salivano agli occhi, mentre mormorava qualche parola di conforto. In particolar modo la commuoveva il fatto che erano tutti giovanissimi, ragazzi che parevano tutti sotto i vent'anni. Nessuno di loro si era aspettato di versare il proprio sangue, o di morire, sul suolo del proprio Paese, combattendo contro un nemico che non aveva neppure visto in faccia.
Alzò lo sguardo nel momento in cui Riley, il viso trasformato in una maschera di sangue, compariva dall'uscita di sicurezza della miniera, sostenuto da due dei suoi sommozzatori; non scorgendo segno di Pitt, una terribile paura l'attanagliò. Dio mio, Dirk è morto, pensò disperata.
Sandecker e Giordino scorsero simultaneamente il ferito e gli si precipitarono incontro.
«Dov'è Pitt?» chiese Sandecker in ansia.
«Ancora laggiù, da qualche parte», mormorò Riley, a fatica. «Si è rifiutato di tornare indietro. Ho tentato, ammiraglio; lo giuro davanti a Dio, ho cercato di convincerlo, ma non mi ha voluto ascoltare.»
«Pitt non è il tipo d'uomo che muore così facilmente», asserì Giordino, in tono risoluto.
«Mi ha incaricato di riferirle una cosa, ammiraglio.»
«Non mi sarei aspettato altro da lui», dichiarò Sandecker, sottovoce.
«Che cosa mi deve riferire?»
«Soltanto che voleva prendere un treno.»
«Può darsi che a quest'ora lo abbia trovato, nella galleria principale», azzardò Giordino, improvvisamente speranzoso.
«Impossibile», affermò Riley, gettando acqua fredda sul suo ottimismo.
«Ormai deve aver esaurito la riserva di aria. Certo è morto annegato.»
La morte nelle acque cupe di una caverna sotterranea è una prospettiva che ben pochi hanno il coraggio di raffigurarsi. L'idea è troppo orribile perché ci si possa soffermare a considerarla. È tristemente noto che sommozzatori, rimasti intrappolati, si scarnificarono le dita fino all'osso, letteralmente, nell'inutile tentativo di aprirsi una via a mani nude attraverso chilometri di roccia. Altri, per contro, si arresero, con la sensazione di rientrare nell'utero materno.
L'ultima cosa che Pitt aveva in mente era di morire. Il solo pensiero sarebbe bastato per farlo cadere in preda al panico. Si concentrò invece sul proposito di economizzare l'aria che gli era rimasta e di non perdere l'orientamento, timore costante di quanti esplorano le grotte colme d'acqua, a grande profondità. L'indicatore del manometro tremolò spostandosi sull'ultima tacca, prima di andare a fermarsi sul VUOTO. Quanto tempo gli restava? Un minuto, due, forse tre, prima che tentasse d'inspirare da una bombola esaurita? Inavvertitamente sollevò con una pinna un vortice di fanghiglia che offuscò il raggio della torcia. S'immobilizzò, distinguendo a malapena la direzione delle bollicine d'aria che salivano davanti al vetro della maschera. Le seguì, nuotando verso l'alto, finché non si ritrovò di nuovo nell'acqua limpida e allora incominciò a muoversi come una mosca, lungo il soffitto della caverna, spingendosi avanti con la punta delle dita.
Provava una sensazione strana, come se si fosse affrancato dalla forza di gravità. Nell'oscurità, a un certo punto, intravide una biforcazione. Non poteva permettersi il lusso di perdere tempo a riflettere sulla decisione da prendere. Si lasciò andare in avanti e imboccò il passaggio alla sua sinistra.
All'improvviso il raggio della torcia andò a cadere sopra una muta lacerata e marcescente in mezzo alla melma. A tutta prima, così afflosciata, dava l'impressione che chi l'aveva indossata se la fosse sfilata di dosso. Il raggio della torcia la percorse tutta, incominciando dalle gambe fino all'infossatura evidente all'altezza del petto, e si fermò sulla maschera, ancora allacciata alla cuffia. Due orbite vuote nel teschio scarnificato fissarono Pitt, che sobbalzò e si affrettò a nuotare a ritroso, lontano dal macabro spettacolo.
Lo scheletro di uno dei sommozzatori scomparsi gli aveva salvato la vita, o almeno gliel'aveva prolungata di un po', perché il passaggio doveva essere un corridoio cieco, senza uscita. Probabilmente le ossa del secondo erano qualche metro più in fondo.
Quando si ritrovò di nuovo all'inizio della biforcazione, Pitt ricontrollò la bussola da polso. Un gesto inutile, dato che non aveva altra scelta se non d'imboccare il corridoio alla sua destra. Aveva già lasciato cadere l'ingombrante rocchetto della corda di sicurezza. La sua riserva d'aria era vicinissima al punto zero. Tentò di trattenere il respiro per conservare il poco che ne rimaneva, ma già avvertiva che la pressione andava diminuendo. Avrebbe potuto tirare il fiato ancora pochissime volte. Si sentiva la bocca arida, era incapace di deglutire e avvertì un gran freddo. Era rimasto troppo a lungo nell'acqua gelida: riconobbe i primi sintomi dell'ipotermia. Mentre nuotava a maggiore profondità, incontro al buio che lo attirava, fu invaso da una strana calma. Aspirò l'ultimo resto di aria e si scrollò via dalle spalle l'inutile bombola, che cadde sul fondo fangoso. Cozzò violentemente col ginocchio contro un mucchio di pietre, ma non sentì il minimo dolore. Non gli restava più di un minuto: dopo di che, neppure una boccata d'aria sarebbe arrivata ai polmoni. Fu sopraffatto dall'orrore d'incontrare la stessa fine del sommozzatore di cui aveva visto i resti nella galleria. Lo ossessionava la visione del teschio abbandonato nella fanghiglia. Avvertì un male insopportabile al torace, gli parve che un incendio gli infuriasse nella testa.
Continuò a nuotare, non osando fermarsi fintanto che il cervello funzionava. Qualcosa luccicò all'estremità del passaggio. Ebbe l'impressione di una distanza chilometrica. Mosche volanti gli offuscavano a tratti la vista. Sentiva il sangue che gli pulsava nelle orecchie e il petto schiacciato da un macigno. I polmoni gli si erano afflosciati, completamente svuotati di aria.
L'estremo, disperato momento era giunto. Il salto nel buio si stava concludendo.